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La notte dei Golden Globe ha dato finalmente un segnale forte e condivisibile a tutte le latitudini. La scelta di attrici e attori di vestire di nero come monito per le denunce per “sexual harassment” nel mondo dello spettacolo, ha colpito  i media di tutto il mondo e quindi un gran numero di persone.

Dagli anni ’70  non si vedeva una mobilitazione così generale, destinata a fare coraggio, anche se in un modo plateale e forse  sopra le righe. Però tutto serve per fare uscire dall’anonimato un problema che esiste da sempre ed è stato troppo a lungo dato per scontato.

L’effetto mediatico è forse ingenuo, ma serve, eccome, a mostrare che questo  problema è finalmente emerso, è condiviso e c’è la volontà di superarlo.

Un altro particolare mi è piaciuto di questo “happening”: ho letto che il nero è “considerato un colore serio”.  Io ho sposato da sempre questa idea, forse inconsciamente, in tempi lontani, perché era pratico, facile da abbinare e davvero strategico in certe situazioni estrema.  Ma è da qualche tempo che lo ritengo affine ad una parte del mio carattere, la scelta “less is more”, che negli ultimi anni mi trova particolarmente d’accordo. Il nero è un colore che è davvero “autorevole e serio” anche nelle sue sfumature frivole.

Il colore nero mi ha sempre aiutato nel lavoro, a infondermi sicurezza, in un mondo professionale molto “al maschile”, dove ho sempre dato per scontato di dover faticare moltissimo a fare accettare le mie posizioni o idee,  al di là dell’aspetto fisico. Trovo molto dignitoso questo fare diventare l’abito nero un manifesto di volontà forte e condivisa, l’essere prese sul serio su una tematica come la molestia sessuale e la discriminazione è un passaggio fondamentale di civiltà, che è esploso pubblicamente molto in ritardo. Ora bisogna riguadagnare il tempo perduto, conquistare quello che dovrebbe essere un diritto fondamentale, che è stato e continua ad essere calpestato anche nei Paesi che si dicono evoluti. E la strada è davvero ancora lunga ed in salita.

E’ indispensabile che noi donne riusciamo a fare squadra, in modo serio onesto e rispettoso, perché solamente una posizione compatta e condivisa a livello generale può portare a soluzioni concrete e non a compromessi che si perdono in mille piccoli personalismi o protagonismi. Il problema è davvero gigante e spesso invisibile, perché noi donne ci siamo rassegnate, come se non ci fosse rimedio alla mancanza di tutele e diritti.

Non vorrei però che questo movimento, come tutti i movimenti che esplodono quando si è superato un limite ormai troppo logoro, diventi eccessivo e diventi un limite  quasi bigotto ad un rapporto sereno tra uomini e donne. L’abuso e la violenza vanno sempre puniti, ma quello che mi preoccupa è il mantenimento di un equilibrio, cosa  sempre molto difficile quando si va “oltre”. E questo “oltre” è già troppo da troppo tempo.